BECKETT L’OTTIMISTA (part. 3)
Perfino durante l’ultima produzione teatrale beckettiana, quella a ridosso degli anni Ottanta, i personaggi cercano di sfuggire al nichilismo. Queste pièces brevi, i cosiddetti dramaticules, sono atti unici che, seppure hanno con sé un dolce lirismo, non lasciano mai scampo alla malinconia.
Anzi, a ben vedere, sono quasi un’ode alla vita. Sono, in un certo senso, figli dell’Ultimo nastro di Krapp (1958). Il dramma affonda, infatti, le sue radici nel materiale autobiografico: alla fine del 1957, Samuel Beckett aveva saputo da un amico che un suo vecchio amore aveva un cancro alla gola allo stadio terminale, rimanendone sconvolto. Rimase, così, nel 1958, in uno stato di profonda depressione. Proprio in quest’occasione scrisse il dramma, opera abbastanza atipica rispetto alla sua produzione. L’atto unico vede un uomo che continua a rievocare il suo passato, oramai perduto, simboleggiato dalle diverse donne che ha conosciuto durante la vita. Tuttavia, continua a ricordare gli occhi di una sola:
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