Il Rinoceronte: Simulacro Cosmico dell’Umana Assurdità? Parte 1.

di Valerio Elia*

L’ASSURDO TEATRO DI IONESCO

JEAN […] Conosce lei il Teatro d’Avanguardia di cui si discute tanto? Ha visto le commedie di Ionesco?
BERENGER Purtroppo no. Ma ne ho sentito parlare. 
JEAN Ne danno una proprio in questi giorni. Ne approfitti!  

La commedia di Eugène Ionesco “Il Rinoceronte” è, forse, una delle più emblematiche opere dell’Assurdo nel suo mostrare la disintegrazione dei dispositivi sociali fino allo svelamento della miserabilità di un Essere Umano consapevole della propria insensatezza. Il surreale espediente drammaturgico attraverso cui si declina questa dimensione è la diffusione di una bizzarra epidemia, la rinocerontite, che trasforma in rinoceronti le persone. Ne risultano personaggi grotteschi che divertono nella loro tragedia (“non c’è niente di più comico dell’infelicità”, come Beckett fa dire ad un suo personaggio). Si ride della beffa più clamorosa di cui è vittima l’Umanità: l’esistenza non ha alcun senso, la vita non ha uno scopo. Bérenger, l’assurdo antieroe protagonista di molte opere di Ionesco, incarna ne Il Rinoceronte l’Uomo contemporaneo, apparentemente pessimista nel suo muoversi verso l’autoannullamento, ma ancorato alla disperata speranza di ripartire da zero, dal niente che gli rimane.  Bérenger non accetta un nuovo dispositivo sociale, un altro falso sistema significante, ma preferisce rimanere solo, andare coraggiosamente incontro alla disillusione, forte della sua autentica e miserabile Umanità. È come Sisifo -per dirlo nei termini di Camus- condannato con la sua esistenza a testimoniare l’Assurdo, senza fuggirlo con la morte, né eludendolo con un inganno mistificatore. Nel Teatro dell’Assurdo emerge chi sceglie la Natura anziché la Cultura, chi preserva il dovere umanistico dell’essere se stessi, chi persevera in uno sforzo identitario; sforzo destinato a trasformarsi nel suo contrario dal momento che il proprio Sé non può che dissolversi senza uno stabile mondo sociale in cui situarlo.
Si tratta dell’impietosa biopsia di una civiltà che nel secolo delle due Guerre Mondiali agonizza ripiegandosi su se stessa fino ad una lenta implosione che rivela la vanità del Tutto, un crollo che procede per inerzia, senza una forza motrice, senza un punto d’appoggio di natura né fideistica, né razionale. Questa è la sub-stantia da cui prendono forma le opere del drammaturgo franco-rumeno Eugène Ionesco, che descrivono un mondo decostruito, senza tempo e senza luoghi, un Uomo nudo in decomposizione esistenziale. L’Estetica è rigettata, la forma si distorce plasmando un pervasivo ed informe Universo insensato, senza Dio, senza scopo, senza logiche. Informi e disordinati squarci del reale che, però, lasciano intravedere un fondo di speranza, quel sentimento sul fondo del Vaso di Pandora che ha liberato il più grande male dell’Umanità: l’insensatezza della vita che emerge dalla vuotezza dei dialoghi e dalla patetica rigidità delle convenzioni che caratterizzano la poetica di Ionesco.

IL RINOCERONTE

Nel 1959, dopo il successo de La Cantatrice Calva, Ionesco scrive “Il Rinoceronte”, una commedia in tre atti che parla di un piccolo paese di una provincia francese in cui si diffonde una bizzarra epidemia: uomini e donne si trasformano in rinoceronti; malgrado il trambusto iniziale, la nuova condizione viene gradualmente accettata, i personaggi sembrano abituarsi presto alle rumorose mandrie e alle improvvise metamorfosi a cui, anzi, sembrano andare volontariamente incontro. Alla fine, Bérenger rimarrà l’unico abitante ancora umano: un Uomo in preda ad un tumulto solitario intento a trattenere brandelli di esistenza innanzi alla deumanizzazione massiva, un ultimo grido destinato a rimanere inascoltato come tutto il resto. 

Il Linguaggio

L’Uomo, un essere assurdo, solo innanzi ad un destino che lo riduce a fantoccio, in un mondo estraneo e ostile, senza logiche.​“Tutto in lui denota disordine”: con questa iniziale didascalia viene descritto l’Uomo-Bérenger annunciando quella che sarà la sua degradazione verso l’insensatezza, verso la perdita di un principio che faccia di lui un Uomo pur essendo l’unico essere umano rimasto: senza il suo mondo sociale perde la ragion d’esserci, perde ciò che anima il suo corpo umano riducendosi, paradossalmente, ad una condizione molto meno umana dei rinoceronti stessi. Si tratta del linguaggio, veicolo delle relazioni sociali, matrice del tessuto culturale e base della conoscenza razionale. È così che Bérenger cerca di convincere Daisy, l’unica ad essere rimasta umana oltre a lui, a non cedere alla metamorfosi:  

DAISY   Guarda! Sono loro l’umanità! Sono così allegri… si sentono così bene nella loro pelle! Non hanno affatto l’aria di essere pazzi. Sono normalissimi. E hanno tutte le ragioni.   
BERENGER  Siamo noi che abbiamo ragione, Daisy! Siamo noi!   
DAISY  Oh, che pretesa!   
BERENGER   Sai benissimo che ho ragione io 
DAISY   Non esiste una ragione assoluta. La ragione è sempre della maggioranza, noi non contiamo niente!   
BERENGER   No Daisy, ho ragione io. E lo dimostra il fatto che quando ti parlo tu mi capisci.   

Quando infine anche Daisy si sarà trasformata, nel suo monologo conclusivo il protagonista, ormai solo, dirà:   

BERENGER Ma che lingua parlo, io? Qual è in realtà la mia lingua? È italiano, questo? Sì, dev’essere italiano. Ma che cos’è poi l’italiano? Possiamo anche chiamarlo italiano, se vogliamo, tanto nessuno può contraddirmi: sono solo a parlare. Ma che sto dicendo? Che dico? Riesco ancora a capirmi, poi? E se, come diceva Daisy, fossero loro ad aver ragione?   

L’impossibilità di condividere un linguaggio corrisponde alla dissoluzione del ​Nomos, di un ordine sociale che contenga e significhi l’identità: con la perdita del senso della parola, e quindi del valore sociale del linguaggio, Bérenger finisce col diventare molto più simile ad un animale dei rinoceronti stessi che, invece, rigenerano un nuovo ordine sociale a partire dalla loro comunità, dalla loro appartenenza reciproca, dalla possibilità di comunicare e, quindi, di trasmettersi significati. La paura della morte e dell’inevitabile dissoluzione identitaria al di fuori della relazione informa la tentazione dell’ordine: tutti hanno ceduto alla rinocerontica trasformazione per garantirsi uno strumento per combattere l’azione disgregatrice del tempo ovvero un universo simbolico di significati che potesse categorizzare ed ordinare la Realtà, seppur falsandola. Bérenger non cede alla falsità del significato, del senso: è un eroe dell’Assurdo poiché sceglie di vivere convivendo con la insignificante verità del suo essere, piuttosto che conformarsi, auto-illudersi.   
Bérenger incarna, dunque, ciò che Camus avrebbe definito l’Uomo in Rivolta che non riuscendo ad integrarsi nella società in cui vive, di cui rifiuta la menzogna, decide di spendere la propria esistenza nello sforzo di ribellione.

Il Corpo

È l’Uomo ad incarnare il diverso in una società di rinoceronti, è lui il malato, affetto da una malattia epocale che ha per sintomi l’inadeguatezza e l’incapacità di sentirsi in sintonia col mondo. Non è il rinoceronte il suo nemico, ma egli stesso. Non è capace di sentirsi vero poiché impregnato di menzogna sociale. Sente il suo corpo come estraneo, si fa apatico spettatore della sua vita. Questa condizione, che lo rende chiaramente emblema dell’Uomo contemporaneo, emerge in Bérenger fin dalla prima scena quando confessa all’amico Jean: 

BERENGER Faccio un tale sforzo a trascinare in giro la mia carcassa, ho sempre l’impressione che il mio corpo sia di piombo, come se portassi un altro sulle spalle. Non riesco ad aver coscienza di me stesso, non so nemmeno se sono proprio io… 

Questa battuta pare depositaria del pensiero cartesiano, dell’Uomo scisso dualisticamente in coscienza e corpo, come fossero entità separate ed indipendenti, costretto a vivere come guardando se stesso dall’esterno. 

La Cultura

BERENGER Se non bevo non va, è come se avessi paura e allora bevo per non avere paura… […] è difficile da spiegare, nella vita in mezzo alla gente mi sento a disagio e allora bevo un bicchiere. 

L’alcolismo di Bérenger rappresenta il tentativo disperato di sfuggire alla monotonia delle convenzioni informate dalla menzogna del mondo, tuttavia la monotonia a cui cerca di ribellarsi si rivela, infine, l’unica vera soluzione contro l’angoscia: i rituali quotidiani, le convenzioni, la menzogna stessa è l’unica medicina contro la malattia dell’Uomo contemporaneo, è per questo che tutti scelgono il conformismo, diventano rinoceronti.  
È forse questo che giustifica la risposta di Jean a Berénger “In fondo lei non è altro che un commediante e un bugiardo”; poi il dialogo prosegue:  

JEAN   La vita è lotta, e non lottare è da vili!  
BERENGER Che vuole, mi sento completamente disarmato! E poi, dove trovare le armi adatte?   
JEAN  Ma in lei stesso! Nella sua volontà!   
BERENGER Quali armi?  
JEAN Le armi della pazienza, della cultura… le armi dell’ingegno!    

“La cultura” è l’arma adatta a combattere contro l’angoscia legata all’insensatezza della vita, al riconoscimento della sua finitezza e quindi contro il timore di morire avendo vissuto invano. Sembra che Jean incarni l’Uomo Strutturale, quello radicato all’interno di una comunità e serenamente vincolato ad essa, al progresso e alla formalità. È un borghese, che cura l’apparenza, “vestito per bene” -secondo l’indicazione registica di Ionesco- e si vergogna della trascuratezza di Bérenger, lo esorta al buon costume, a seguire le correnti intellettuali del suo tempo:    

JEAN Tutti dobbiamo adattarci. Perchè, lei forse si crede un essere superiore? […]L’uomo superiore è colui che sa compiere il proprio dovere, di impiegato ad esempio.   

Come lui molti altri personaggi tendono ad incarnare una precisa antropologia: Botard, ad esempio, è l’illuminista che promette di “far luce sul falso mistero” della rinocerontite, ma finisce per negare finanche le evidenze; il Filosofo è l’aristotelico che riuscirà a dimostrare con la logica che un cane è un gatto, ma anche lui finirà per mostrare che l’Uomo è un “animale irrazionale” e sarà il più riconoscibile tra i rinoceronti. 

La Morte

Così Ionesco mostra la fragilità di qualsivoglia ideologia, ogni Uomo è destinato a disgregarsi dinanzi all’Assurdità dell’esistere, ogni vita è destinata banalmente a finire. Questo forse è il tema più profondo: le Guerre Mondiali hanno fatto della morte qualcosa di usuale, l’hanno resa una costante fino a svalutare il senso stesso della vita, la bomba atomica dimostra come la scienza stessa (fino a quel momento unico affidabile appiglio -dopo “la morte di Dio”, dopo il declino dei sistemi cosmologici religiosi- per dare un senso al mondo) fosse fonte di una insensata distruzione massiva: la vita ed ogni suo significato scompaiono, in un istante.  La morte e la sua ormai innegabile salienza scaraventano l’Uomo nell’Assurdo.   
I personaggi di Ionesco -rappresentanti dell’Uomo che si ancora ad un dispositivo di significati che dia senso al suo esistere- si mostrano indifferenti innanzi alla tragicità della morte: nella prima scena un gatto viene travolto dal primo rinoceronte avvistato in città, la sua padrona è al centro della scena a piangerlo disperatamente, gli altri personaggi la soccorrono, cercano vanamente di consolarla, ognuno a modo proprio, finendo per dimenticarsene incastrandosi nell’insensata dialettica delle loro conversazioni nel maldestro tentativo di affermare le proprie idee, i propri sistemi di pensiero. Così Ionesco mette in scena la morte dell’Umanesimo, la costrizione dell’esistenza contemporanea in un labirinto simbolico senza una via d’uscita. Anche in un dialogo tra Jean e Bérenger si affronta la questiono della morte e risulta evidente come Jean neghi la morte per esaltare la vita e la ragione:

BERENGER Vivere è una cosa anormale.   
JEAN   Ma niente affatto! È assolutamente normale. La prova? Tutti quanti viviamo.   
BERENGER I morti sono più numerosi dei vivi. E il loro numero cresce sempre. Noi vivi siamo così pochi.  
JEAN I morti non esistono, sì, è proprio il caso di dirlo! Ah! Ah! (Risata). Anche loro le pesano? Come possono pesarle delle cose che non esistono?  
BERENGER Certe volte mi domando se sono ancora vivo!   
JEAN No, mio caro, lei non è vivo perché non pensa. Pensi e vivrà: cogito, ergo sum.

FONTI

Testo: 
Traduzione di Giorgio Buridan; Da TEATRO 1; Giulio Einaudi Editore – Torino – 1976 http://teatromelograno.altervista.org/ionesco-rinoceronte.pdf

Immagini:
Xilografia di Durer https://www.lorenzotaccioli.it/albrecht-durer-e-le-sue-incisioni/
“Creazione degli Animali” di Raffaello https://www.settemuse.it/pittori_scultori_italiani/raffaello_sanzio_8.htm
Stemma di Alessandro de’Medici  https://www.wikiwand.com/it/Alessandro_de%27_Medici_(duca_di_Firenze)
Foto di Salvador Dalì con rinoceronte https://www.thedaliuniverse.com/it/news-dali-e-il-rinoceronte
Foto di Salvador Dalì che dipinge con rinoceronte https://mashable.com/2016/08/14/dali-rhino/?europe=true
“Assumpta Corpuscularia Lapislazulina” di S. Dalì https://www.salvador-dali.org/en/artwork/catalogue-raisonne-paintings/obra/670/assumpta-corpuscularia-lapislazulina
“Madonna Microfisica” di S. Dalì https://www.salvador-dali.org/es/obra/catalogo-razonado-pinturas/obra/685/madona-microfisica
“Rinoceros Cosmique” di S. Dalì https://www.thedaliuniverse.com/it/rhinoceros-cosmique-piccole-museali
“Rhinoceros Habille en Dentelles” di S.Dalì https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Dal%C3%AD.Rinoceronte.JPG

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