BECKETT L’OTTIMISTA

Il teatro di Beckett e l’arte informale a confronto. Parte 1.

di Vincenzo Ruoppolo*

Ever tried, ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better.

Samuel Beckett è un autore che non ha bisogno di presentazioni. Complesso e poliedrico, la sua produzione spazia dal romanzo al teatro, dalla radio al cinema e alla televisione. La sua produzione teatrale ha segnato un punto di svolta dalla tradizione precedente e dall’idea stessa del fare teatro. Il teatro prima di lui era, infatti, per lo più, la rappresentazione di una storia lineare e non di una sola situazione che, ripetuta, porta all’estremo le sue conseguenze.
Allo stesso modo anche le arti visive, nella seconda metà del Novecento, non raccontano più storie, ma esprimono concetti. Lo spazio del quadro o della scultura informale può essere considerato la riproduzione della tecnologia elettronica “del cerchio”, ovvero la tecnologia
successiva alle scoperte e alle invenzioni come l’anello di Pacinotti (1866). Questa lettura è stata ipotizzata da Marshall McLuhan (1911-1980), sociologo e filosofo, che notò come le invenzioni artistiche e quelle tecnologiche seguano un’evoluzione parallela: la stampa di Gutenberg, ad
esempio, è coincidente con la scoperta della prospettiva da parte di Paolo Uccello. Così nell’arte contemporanea, successivamente al Ritorno all’Ordine degli anni Venti, c’è un’esplosione di nuove tendenze: la riscoperta del filone cosiddetto biomorfo (che riprende figure ameboidi e batteriche) di
Kandisky e Klee fa nascere il nuovo clima dell’Informale prima in Francia, con Jean Fautrier e le sue Teste d’ostaggio e poi con Jean Dubuffet e l’uso del catrame sulla tela.

Lo spazio vuoto

In questo periodo artistico sia il teatro che le arti visive vanno verso una riduzione della
realtà fino all’astrazione più semplice della mente umana, arrivando quasi ad un “classicismo astratto”. Se si mettono in parallelo alcune opere teatrali di Samuel Beckett e la pittura Informale, è possibile non solo trovare analogie, ma anche smentire l’idea largamente diffusa di una visione del mondo negativa da parte della cosiddetta arte astratta.

Sia Beckett che i pittori della nuova generazione sono infatti consci del senso di vuoto causato dalla Seconda Guerra Mondiale: un vuoto che mostra il fallimento della società precedentemente costruita, culminato con la follia del genocidio nazista: la società occidentale, nata dall’idea di razionalità e perfezione della Grecia del V secolo a.C., è degenerata nella barbarie. Lo stesso spazio delle opere teatrali di Beckett e quello delle opere d’arte informali, accetterà ed esprimerà questo vuoto che non è, però, come nel Romanticismo (ad esempio nel Monaco in riva al mare di Kaspar David Friedrich e nella Stella della sera di William Turner), una paura, un horror vacui, ma, come affermava il critico Francesco Arcangeli, è, da parte di questi artisti, la sua presa d’atto; essi conservano ancora una “carica”, una spinta ardente, nonostante un futuro di cui non si prevede un esito sicuro.

La prospettiva psicoanalitica lacaniana spiega questo procedimento: l’arte altro non è che
un’organizzazione del vuoto. La Prima estetica di Lacan, presente nel Seminario VII, fa esistere l’arte come un’organizzazione di un’alterità che sfugge alla comprensione umana (la Cosa). L’opera d’arte deve dunque essere una “bordatura del vuoto della Cosa”, intendibile come Caos primigenio, o ingovernabilità del
Reale.

Giorni felici e Francis Bacon

L’accostamento di Samuel Beckett al pittore inglese Francis Bacon (1909-1992) è già nel
rispettivo modo di lavorare, con un tratto comune quale la ripetizione: se questo processo è
lampante nelle opere di Beckett come Aspettando Godot (1953) o Finale di partita (1957), anche il
pittore inglese si è spesso confrontato, quasi ossessivamente, con innumerevoli sequenze di ritratti esoprattutto su due grandi temi: le Crocifissioni e i Papi.

Se la prima tematica viene affrontata prevalentemente nella forma medievale del Trittico, in
particolare in Tre studi per una crocifissione (1962), dove il pannello destro ricalca il Crocifisso di
Cimabue sia pur rovesciato, la sequenza dei papi parte dallo studio di Diego Velázquez: dapprima
con Testa VI, del 1949, successivamente con Studio dal ritratto di Innocenzo X del 1953. Da questo
papa rivisitato, tuttavia, Bacon muoverà fino ad arrivare ai papi dei cosiddetti “disegni italiani” del
1977-1992, utilizzando prevalentemente il pastello e il collage su carta.

Oltre a questa perenne tensione di perfezionamento, quasi nevrotica, abbiamo una certa somiglianza anche nei temi, in particolar modo nei personaggi.

L’intera opera di Beckett è infatti fortemente influenzata da Dante fin dall’inizio della sua produzione: l’archetipo di tutti i suoi personaggi è Belacqua, un personaggio che Dante incontra nel quarto canto del Purgatorio, presente nei racconti giovanili dell’irlandese (Sogno di donne attraenti o mediamente attraenti, 1932, e Più pene che pane, 1934). Belacqua è la rappresentazione medievale dell’Accidia, riprodotta in iconografia con lo stare seduti con le braccia avvinghiate intorno alle ginocchia e la testa sprofondata in esse. Tutti i personaggi beckettiani successivi ricalcano questa figura. Vivono, infatti, nonostante siano morti e, come se fossero immortali, la loro morte avanza solo a passi molto lenti. Come in Giorni felici (1961), dove abbiamo il personaggio femminile di Winnie interrato fin sopra la vita che, per ingannare il tempo, esegue le azioni più banali (come frugare nella sporta accanto a lei, guardarsi allo specchio e giocherellare con il parasole) e tenta di parlare con il marito Willie, che è pressoché impossibilitato a muoversi.

Winnie è dunque un personaggio che, come
moltissimi altri, ha un pesante impedimento
fisico: la totale assenza di movimento nelle gambe. Proprio la sua menomazione potrebbe, a prima vista, rappresentare la dimostrazione nichilistica di un pensiero esistenzialista secondo il quale siamo nati in attesa di morire, ed il tempo della nostra vita ci è indifferente, come afferma Pozzo in Aspettando Godot:

POZZO (Con ira improvvisa) Ma la volete finire con le vostre storie di tempo? È grottesco! Quando! Quando! Un giorno, non vi basta, un giorno come tutti gli altri è diventato muto, un giorno io sono diventato cieco, un giorno diventeremo sordi, un giorno siamo nati, un giorno moriremo, lo stesso giorno, lo stesso istante, non vi basta?
(Calmandosi) Partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende in un istante, e poi è di nuovo la notte. (Tira la corda) Avanti!

Secondo questa prospettiva, il nostro scopo non sarebbe nient’altro che la morte. Tuttavia è proprio Winnie che tenta di dimostrarci il contrario, con la sua forza di restare aggrappata ostinatamente alla vita:

WINNIE […] Eh sì, così poco da dire, così poco da fare, e una tale paura, certi giorni, di trovarsi… con delle ore davanti a sé, prima del campanello del sonno, e più niente da dire, più niente da fare, che i giorni passano, certi giorni passano, passano e vanno, senza che si sia detto niente […] Una volta sudavo moltissimo. (Pausa). E adesso quasi più niente. (Pausa). Il caldo è molto maggiore. (Pausa). La perspirazione molto minore. (Pausa). È questo che trovo meraviglioso. (Pausa). La capacità di adattamento dell’uomo. (Pausa). Alle più diverse condizioni.

Questi personaggi si muovono, inoltre, in un vuoto che li costringe a mostrarsi sulla scena in questa continua ripetizione circolare che rende la loro vita un Purgatorio senza uscita. Lo spazio teatrale beckettiano ha una funzione analoga a quella della caverna platonica: non è concepito niente all’esterno. E i simulacri di realtà tenuti in mano in questo caso da Winnie, i suoi ricordi, suo marito Willie, che corrispondono alla luce proiettata sulla parete della caverna nel mito di Platone, sono per lei la realtà stessa. Realtà a cui crede con ostinazione, perché è tutto quello che ha. Allo stesso modo agiscono i personaggi di Francis Bacon in un serrato confronto con la fotografia. Bacon, infatti, si confronta con la fedeltà ottica del medium fotografico, ma ne sfrutta le
possibilità di aprirsi a processi capaci di creare una nuova realtà. I suoi quadri, e in particolare il periodo intorno agli anni ’40 e ‘60, sono la rappresentazione di un mondo a prima vista fortemente cruento. Basta pensare a Dipinto 1946 e ai Tre studi per figure alla base di una Crocifissione (1944), in cui saltano subito all’occhio, rispettivamente, il torso macellato dietro l’ombrello della figura antropomorfa e le torture subite dalle tre figure del trittico. I personaggi dell’artista sono catturati in un momento assolutamente unico, come se Bacon stesse utilizzando il flash durante un avvenimento che “fa notizia”. Eppure, nonostante la sensazione di violenza che può scaturire dai suoi dipinti, non si può non notare una sorta di calma olimpica che invade tutta la tela. È lo stesso
procedimento di Beckett: è come se i personaggi fossero oggetto di un sogno dello spettatore che lo vede davanti a sé. I ritratti di Bacon e i personaggi di Beckett sono stropicciati, sformati, torturati da accidenti esterni.

Il papa di Studio dal ritratto di Innocenzo X (1953) è tagliato verticalmente da una sorta di velo e viene calato in uno spazio indeterminato e buio, e sembra dissolversi attraverso l’espressione del volto nel momento in cui viene “risucchiato” lungo una verticale. E anche Beckett trasforma Winnie, donna di facoltose origini borghesi che viene qui
portata in uno spazio scenico per far risaltare la sua essenza contraddittoria e i limiti di un’intera classe dirigente che aveva causato una guerra mondiale a cui lo stesso Beckett aveva attivamente partecipato e costretto perfino a nascondersi a Roussillon per evitare attacchi nazisti.

Per entrambi gli autori l’errore più comunemente addotto è quello di immaginare un’astrazione dal reale e dal mondo esterno: ma questi due artisti sono più vicini al reale di quanto si possa ritenere. In entrambi la presenza del mondo è fondamentale: c’è un saldo aggancio alla vita. Questi artisti sono in dialogo col mondo, ne sublimano il vissuto in una forma più alta (concetto sempre espresso da Lacan, stavolta nella Terza estetica), sotto il velo della finzione scenica e
artistica. E, soprattutto, non rinunciano alla possibilità di sperare. Allo stesso modo di Hamm e Clov, che continuano a giocare una partita persa in partenza, odi Winnie, che continua ad andare avanti nella assurda felicità donatale da un altro giorno divino, Francis Bacon nei suoi quadri ci mostra tutte le potenzialità di un’umanità decisamente viva.
Mostrare la frammentazione e la debolezza dell’uomo significa infatti, per i due artisti, elevarlo e sottolinearne le potenzialità, anche nelle difficoltà. Il mostrare tali debolezze dell’uomo diventa così, da un certo punto di vista, un’operazione politica che andando oltre il nichilismo vuole spingere l’uomo a superare i propri limiti, anche sociali.

FONTI

Testo:
Traduzioni di Carlo Fruttero; da Teatro completo, Torino, Einaudi-Gallimard, 1994.
Immagini:
Samuel Beckett https://lacapannadelsilenzio.it/la-snervante-inutilita-della-vita-samuel-beckett/
“Monaco in riva al mare” di Caspar David Friedrich https://www.analisidellopera.it/monaco-in-riva-al-mare-friedrich/
“La stella della sera” di William Turner https://it.wikipedia.org/wiki/La_stella_della_sera
“Tre studi per una crocifissione” di F. Bacon http://www.pulled-up.it/2012/10/bacons-arena-la-vitarte-di-francis-bacon-nel-documentario-di-adamlow/64-1700a-b-c/
Giulia Lazzarini (Winnie) in “Giorni felici” https://aula41.wordpress.com/2020/06/28/dietro-winnie-le-stelle-di-francesca-trovato-e-arcangela-varlotta/
“Studio dal ritratto di Innocenzo X” di F. Bacon https://cultura.biografieonline.it/bacon-studio-ritratto-innocenzo-x-velazquez/

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